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La Storia

I festeggiamenti per il centocinquantenario dell’unità d’Italia hanno costituito l’occasione per ripensare la storia dell’Ottocento, portando a riscoprire un po’ dovunque, ma specialmente in Piemonte, aspetti del patrimonio storico minore che hanno contribuito a formare una parte non trascurabile della coscienza culturale diffusa del nostro paese. Di questo patrimonio fanno parte anche gli archivi scolastici e le raccolte di antiche strumentazioni didattiche. Nel campo archivistico, a Torino è di particolare pregio il lavoro svolto al Liceo D’Azeglio, che ha portato a valorizzare un serbatoio di memoria culturale unico e insostituibile per la città. Anche la provincia, nondimeno, serba tesori archivistici di considerevole interesse. Chieri è una cittadina in prossimità di Torino di antica origine e tradizione, sede fino a poco tempo fa di un liceo classico che, come è accaduto ovunque in Italia per questo tipo di scuola, aveva raccolto la tradizione delle istituzioni educative preesistenti ed era servito da laboratorio nella fase di strutturazione della rete scolastica nazionale dopo l’unità d’Italia. Libero comune in epoca medievale e, per un breve periodo, sede universitaria nel corso del trecento, Chieri ospitava, quale istituto scolastico, un Collegio di Barnabiti, quando nel 1727 il Re di Sardegna Vittorio Amedeo II, monarca “illuminato”, promulgò una serie di atti normativi volti a rendere possibile la formazione dei primi funzionari statali, riorganizzando le scuole allora esistenti, tutte di natura esclusivamente religiosa, allo scopo di creare delle “scuole secondarie regie”. In tale atto si può ravvisare l’inizio del processo di formazione, nel regno sabaudo, di istituzioni scolastiche nel senso moderno del termine. Il percorso di statalizzazione e laicizzazione proseguì a maggior ragione (ma sempre con gradualità) sotto la dominazione francese in epoca napoleonica. E’ in questa fase che, fra molte contraddizioni, si pongono le premesse, anche nella nostra penisola, per la nascita di un’istituzione finalizzata a creare cittadinanza e identità nazionale. Viene introdotta la distinzione fra scuola primaria e secondaria, vengono cambiate le materie. Diventano oggetto di insegnamento la lingua nazionale, la storia, con particolare riferimento alle repubbliche sia antiche che moderne, i diritti e i doveri del cittadino. Soprattutto, i vecchi insegnamenti acquistano nuovi significati. La cultura retoricoumanistica alla base dell’ educazione religiosa impartita fino a quel momento, la cui continuità non viene interrotta, acquista un significato radicalmente nuovo alla luce degli eventi rivoluzionari. Il sogno borghese di restaurare le antiche repubbliche e l’esaltazione delle virtù civili fa balenare (per un breve periodo, e quasi per sbaglio) l’originario significato politico degli esercizi di retorica1. Anche a Chieri, dal 1796, quando vengono cacciati i Savoia, il nuovo governo comincia ad esigere un cambiamento nel programmi delle istituzioni scolastiche. Fino al 1799 la ripartizione è ancora quella stabilita dalle Regie Costituzioni sabaude del 1771: c’è un Collegio Inferiore, che comprende tre classi, VII, VI e V, in cui si impara a leggere e a scrivere in italiano e si pongono le basi per lo studio del latino e della retorica; e un Collegio Superiore comprendente quattro classi (IV, III, II e I) e un biennio conclusivo. Nelle prime due classi si studia ulteriormente la retorica, nelle seconde due letteratura, nel biennio finale filosofia. Ma a partire dal 1800-1801, in ottemperanza alle diposizioni napoleoniche, il Collegio Superiore viene ribattezzato “scuola secondaria” e ristrutturato in modo da comprendere un triennio (I grammatica superiore, II umanità, III retorica) e un successivo biennio di filosofia. Viene abolito l’‘incarico di “direttore spirituale”, ruolo evidentemente non più ritenuto necessario nel clima di generale laicizzazione, ma la motivazione ufficialmente addotta per il provvedimento è la mancanza di fondi (situazione a quando pare da sempre propizia a epurazioni su base ideologica). In compenso nel 1803 la mancanza di fondi non è di impedimento all’istituzione da parte del bureau d’administration delle scuole di Chieri, dipendente direttamente dal potere centrale, di due nuovi insegnamenti, matematica e disegno. La retta mensile continua a essere molto elevata, e pertanto gli studenti provengono tutti da famiglie abbienti. Ciononostante i cambiamenti intervenuti (riduzione della durata da sei a cinque anni; introduzione di materie quali la matematica e il disegno, considerate tecnico-applicative e perciò svalutate dalla cultura retorico-umanistica del medioevo, rivalutate invece dagli enciclopedisti) fanno pensare che si vada, gradualmente e prudentemente, verso una estensione del diritto allo studio, seppure ancora solo nella forma di un parziale ma significativo ripensamento della funzione degli studi, più confacente ora ad aspirazioni borghesi, anche se si tratta sicuramente di una borghesia “alta”. La vita scolastica per tutto il periodo napoleonico è improntata a un modello rigidamente militare: fra gli studenti, quelli interni al collegio indossano divise di foggia militaresca, osservano per tutta la giornata un orario severissimo e in caso di infrazioni sono puniti con la carcerazione. A partire dal 1814, con la Restaurazione, ritornano in vigore le Costituzioni Regie del 1771, completate da decreti attuativi del 1772. La cura delle istituzioni scolastiche extrauniversitarie viene nuovamente denominata “riforma”, come avveniva anteriormente al periodo napoleonico, senza che alla parola possa più essere attribuito un significato “progressivo”. L’intenzione è piuttosto quella di un riordino. La “riforma” si avvale, a diversi livelli, di funzionari il cui compito consiste nel trasmettere direttive e nel controllarne l’applicazione con frequenti e obbligatorie ispezioni. Viene nuovamente istituita la figura del “direttore spirituale”: la sua sfera di competenza riguarda la condotta morale e religiosa degli allievi, cui viene attribuita grande importanza, e che viene sorvegliata con vari mezzi sia all’interno che all’esterno della scuola. I libri di testo devono essere tutti attentamente controllati ed esplicitamente autorizzati. Non intendo qui diffondermi ulteriormente sui numerosi e dettagliati aspetti del controllo poliziesco nel Regno di Sardegna al tempo della Restaurazione, quando la Chiesa cooperava con i gendarmi e anzi era, con la sua presenza capillare, di gran lunga più efficace di questi2. E’ meno scontato osservare che alcuni aspetti del nuovo ordinamento sembrano indicare l’impossibilità di tornare puramente e semplicemente alla situazione precedente. Ad esempio, ci sono direttive affinché l’insegnamento della matematica venga mantenuto, in quanto utile alla preparazione tecnico-logistica dei futuri ufficiali. Oppure si caldeggia l’introduzione di nuovi metodi di insegnamento, per quanto da sorvegliare con cautela. A Chieri Carlo Campagnola, il responsabile del Collegio e professore di filosofia che aveva ricoperto la cattedra durante l’occupazione francese, esaltando Napoleone e i prefetti francesi, non viene rimosso dall’incarico. In quel periodo la città di Chieri riveste notevole importanza in campo scolastico ed è preposta ad un esteso dipartimento. Dal 1819 sovraintende all’istruzione nel Regno sabaudo un nobile di origine chierese, il conte Prospero Balbo. Già a capo dell’istruzione durante il periodo napoleonico, sarà anche, in seguito, ministro dell’interno, presidente dell’Accademia delle Scienze voluta da Carlo Alberto e rettore dell’università. Sotto il regno di Carlo Alberto, a partire dal 1831, l’istruzione viene infatti ulteriormente promossa e comincia a manifestare anche nei contenuti lo spirito risorgimentale. Cooperano a costruire l’identità italiana Cavour, D’Azeglio, Alfieri, Cesare Balbo. Quest’ultimo è figlio del già citato Prospero Balbo: liberale moderato ascrivibile al movimento neoguelfo, pubblica nel 1830 una Storia d’Italia in due volumi. Seguiranno, oltre a vari scritti storici e letterari, i Pensieri sulla storia d’Italia (1840- 41), e, nel 1844, le Speranze d’Italia, ispirate al Primato di Gioberti. Dopo averne dettato il programma, collabora al giornale “Il Risorgimento” diretto da Cavour. Dal 1848 al 1852 presiede, per scelta di Carlo Alberto, il primo ministero costituzionale del Piemonte. Nel 1851, in un discorso alla camera, si esprime a favore della libertà di insegnamento nella scuola secondaria. Si lavora al risveglio educativo del Piemonte: Carlo Alberto chiama a Torino il sacerdote e pedagogista lombardo Ferrante Aporti, che dal 26 agosto ai primi di ottobre 1844 tiene nell’anfiteatro di chimica della Regia Università un corso straordinario di metodica a cui partecipano professori e maestri, insieme a eruditi di ogni sorta. Per il Piemonte è l’inizio di un profondo rinnovamento scolastico e pedagogico, che lo pone all’avanguardia degli stati italiani. Nel 1847 viene istituito il Ministero della Pubblica Istruzione. Nel 1848 l’Aporti, compromesso nei confronti del regime austriaco per il suo appoggio alla guerra di liberazione, si rifugia a Torino, dove Carlo Alberto lo nomina senatore del Regno. Vittorio Emanuele II lo farà presidente del Consiglio universitario e della Commissione permanente delle scuole secondarie, la carica più importante dopo quella di ministro nel campo della pubblica istruzione. Anche il Collegio della città di Chieri risente ovviamente di questo influsso. Nel 1856 un Regio Decreto lo unisce alle “scuole di latinità”. Si trattava di istituzioni esistenti a Chieri almeno dal 1706, come attestano i registri dei conti esattoriali risalenti a quell’anno e conservati nell’archivio comunale, dai quali risulta che erano mantenute dal Comune. Ma erano sicuramente anteriori a quella data, poiché si è a conoscenza di una fase precedente in cui erano tenute dai parroci e dai vescovi. Nel 1822 un decreto regio ne aveva consentito l’ampliamento: da quel momento erano state costituite da quattro corsi, grammatica, umanità, retorica e filosofia. Così potenziato, il Collegio viene assimilato ai Collegi Reali dei capoluoghi di provincia. La situazione rimane invariata fino al 13 novembre 1859, quando viene promulgata la legge Casati3. Si tratta del più importante provvedimento legislativo in materia di istruzione nella storia del Regno di Sardegna, destinato a porre le fondamenta dell’istruzione pubblica in Italia. Infatti non è solo l’atto di nascita della Pubblica Istruzione nel Regno, ma sarà esteso, dopo il 1861, a tutta Italia diventando la base del diritto scolastico nel nostro paese. La scuola italiana ne conserverà l’impostazione fino alla riforma Gentile del 1923. E’ noto e ampiamente dibattuto come la legge Casati riflettesse il centralismo tipico dello stato sabaudo prima e dell’Italia postunitaria poi, e come fosse ispirata ad una concezione elitaria dell’educazione, che poneva in primo piano la scuola secondaria rispetto a quella primaria e dava centralità al liceo classico che istituiva per la prima volta, destinandolo alla formazione delle classi dirigenti, il cui ruolo sarebbe stato importantissimo nella costruzione della pubblica amministrazione dello stato unitario. Un ruolo nettamente distinto e chiaramente subordinato veniva assegnato invece alla scuola tecnica, destinata alla formazione degli operai specializzati. Va osservato tuttavia che, mentre l’insegnamento classico recepiva e proseguiva (con significativi ammodernamenti e una evidente volontà di contrapposizione polemica, riconducibile alla cultura liberale) una lunga tradizione che risaliva al periodo in cui le scuole erano esclusivamente religiose, era la prima volta che una scuola tecnica veniva istituita. Per quanto riguarda lo scarso rilievo assunto dall’educazione primaria, esso è da imputare in larga misura alle condizioni di arretratezza di una società ancora prevalentemente contadina. L’istruzione classica prevedeva un ginnasio di cinque anni a carico dei comuni e un liceo di tre anni a carico dello stato (impostazione di cui conserva memoria la denominazione ancora oggi in uso per i cinque anni del liceo classico, che si chiamano ancora quarta e quinta ginnasio, prima, seconda e terza liceo). Ginnasio e Liceo erano presenti in ogni capoluogo di provincia. La loro frequenza consentiva l’accesso a tutte le facoltà universitarie, a differenza della scuola secondaria tecnica, che consentiva solo l’iscrizione alla facoltà di scienze matematiche, fisiche e naturali, e solo per chi frequentava la sezione fisico-matematica. Tra le materie era prevista la "dottrina religiosa" il cui insegnamento nelle scuole secondarie tecniche e classiche era affidato ancora ad un direttore spirituale nominato dal vescovo. Il clima liberale è percepibile però dal fatto che alle famiglie era data la possibilità di chiedere l’esonero da questo insegnamento. Nel 1877 la legge Coppino, emanata sotto il governo Depretis, di ispirazione positivista e fortemente laica (sono agli anni di più forte contrapposizione fra stato e Chiesa, dopo la breccia di Porta Pia) lo abolirà completamente. A Chieri con la legge Casati viene abolito il corso di filosofia. Per interessamento del Comune il ginnasio, costituito dai tre corsi precedenti, il 10 settembre 1860 viene dichiarato dal Ministero di seconda classe e assimilato ai ginnasi governativi (oggi diremmo statali) con un accordo finanziario in base al quale gli insegnanti erano nominati dal governo, mentre gli stipendi erano pagati dal comune, che riscuoteva in cambio le tasse scolastiche. Questo pone le premesse per la “regificazione” anche formale, che avviene nel 1863.Si può quindi assumere questa data, due anni dopo l’unità, per la nascita del primo nucleo di scuola statale superiore nella cittadina di Chieri. Il parallelismo cronologico è di per sé eloquente. E’ anche interessante osservare come, a discapito del centralismo della legge Casati, il processo che ha portato a questo risultato sia partito da un’ iniziativa locale. L’iniziativa tuttavia non si esaurisce qui, ma procede con tenacia. La regificazione aveva riguardato solo il ginnasio, visto che il liceo non esisteva ancora ( o se si vuole, non ne esisteva più il corrispettivo antecedente, dal momento che era stato soppresso con la legge Casati il corso di filosofia risalente alla scuola di latinità). A compensare questa lacuna, con l’intenzione di ripristinare la continuità con la tradizione di studi superiori da tempo esistente in Chieri, interviene ancora una volta il consiglio comunale, che nelle sedute del 6 e 27 ottobre 1864 delibera l’istituzione di un “liceo comunale libero”, approvato nel dicembre dello stesso anno con un decreto del provveditore. Nella seduta del consiglio comunale del 23 luglio 1874 verrà soppresso per mancanza di alunni ed insegnanti. Ma il consiglio non si arrende e con una delibera del 23 luglio 1876 lo ricrea, ottenendo che sia pareggiato ai regi (cioè riconosciuto dallo stato, pur continuando ad essere gestito dall’amministrazione comunale) il 7 giugno 1878. E’ da questo momento che si ha notizia anche della denominazione: Liceo Pareggiato Cesare Balbo. Il Ginnasio Pareggiato è ancora separato ed entrambi, insieme alle altre scuole allora esistenti a Chieri (Scuole Tecniche Parificate e Scuole Operaie serali), fanno capo al Regio Convitto in cui gli studenti provenienti da fuori sono ospitati. Da quel momento Ginnasio e Liceo Pareggiati funzionano di fatto come se fossero regi, finché vengono dichiarati regi a tutti gli effetti di legge (R.D. n.491 del 27 settembre 1908 per il Ginnasio e R.D. n.808 del 23 settembre 1909 per il Liceo). Con la riforma Gentile il Regio Liceo-ginnasio Cesare Balbo mantiene inalterata struttura, sede e corpo docente, subendo però come tutte le scuole italiane una progressiva fascistizzazione. La sede era collocata, dal 1860 circa, nei locali dell’ex convento di S. Chiara, presente in quel sito dall’inizio del Quattrocento, la cui parte quattrocentesca ancora esistente (una manica con loggiato) era stata ampliata con ulteriori maniche nel settecento e nell’ottocento. Nel 1933 viene portata a termine la costruzione di un nuovo tronco dell’edificio, destinato ad ospitare il complesso delle scuole chieresi, dall’aspetto severo e monumentale e dall’ornamento parco, nonostante lo stile liberty. Si sa che la realizzazione fu rapida e i costi contenuti. Nonostante questo la disposizione e l’organizzazione dell’edificio, la scelta dei materiali danno l’idea dell’importanza e del valore simbolico che l’amministrazione comunale dell’epoca deve avere attribuito all’opera, effetto sicuramente della funzione centrale che il fascismo assegnava alla scuola come veicolo di propaganda4. Il Liceo classico viene allocato nella zona Ovest, con l’ingresso a sinistra della lunga facciata, proprio all’inizio della sequenza degradante dei vari ordini di scuola, secondo un criterio gerarchico di immediata evidenza visiva. In questa sede il Liceo rimane anche dopo la Liberazione, quando il simbolo del littorio posto a lato del portone d’ingresso accanto allo stemma della città viene dimenticato dopo essere stato abraso. Per tutto il periodo dell’Italia Repubblicana le sezioni continueranno ad essere perlopiù due, con rare annate in cui arriveranno a includerne una terza e il rischio spesso incombente di essere ridotte ad una. Gli allievi che si muovono tra le mura spesse vi respirano un’atmosfera un po’ da monastero e un po’ da caserma, ma la funzione scolastica risulta loro evidente dai pochi essenziali arredi, fra cui vi sono ancora, e vengono usati normalmente, i banchi di legno a scalinata delle aule (“gabinetti”) di fisica e di biologia risalenti al secolo precedente, come documentano le incisioni con date realizzate da allievi dell’epoca. I “gabinetti” ospitano inoltre, custodite in armadi con vetrate, svariate attrezzature scientifiche di varia natura, in parte ancora utilizzate. La biblioteca continua lentamente ma costantemente ad arricchirsi di nuove acquisizioni, senza che si senta l’esigenza di separare il nuovo dal vecchio, se non a motivo dell’insufficienza di spazio che impone di aggiungere scaffali di metallo e di disporli in corridoio, dato che gli scaffali in legno che occupano per intero la sala apposita sono ormai ricolmi. La situazione di apparente sospensione temporale sembra potersi protrarre indefinitamente, ma a partire dagli anni Novanta l’autonomia del Liceo inizia ad essere posta in questione da una legge che impone l’accorpamento di scuole con un esiguo numero di classi. Si forma un movimento di professori e allievi che, ricorrendo a una petizione con raccolta di firme rivolta al Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, ottiene di procrastinare di alcuni anni un provvedimento che si rivela però alla fine ineludibile. Nel 1995 il Liceo-Ginnasio Cesare Balbo di Chieri cessa di esistere amministrativamente, trasformandosi in sezione classica del “Liceo Scientifico Augusto Monti”, con sede distaccata. E’ in questa fase che il Liceo incomincia ad essere oggetto di una attenzione diversa da parte della cittadinanza e soprattutto degli utenti: si passa dal semplice riconoscimento della funzione alla considerazione della memoria storica. Si avanza da una parte, e si contesta dall’altra, l’esigenza di preservare e di far valere all’interno della scuola, laddove, come nel caso del “Balbo”, sia presente, una dimensione identitaria. La pura e semplice fruizione immediata di quello che si comincia a considerare come un piccolo patrimonio tramandato lascia il posto alla volontà di comprenderlo e di ricostruire la memoria ad esso collegata. Nel 1998 si celebra il centocinquantenario (la data del 1848 assunta come riferimento è quella del più antico registro reperito nell’archivio scolastico) con l’intenzione di attirare l’attenzione dell’opinione pubblica sulla questione della salvaguardia del liceo e del suo patrimonio, sentiti e vissuti come inseparabili5. Ma ormai il liceo esiste, di fatto e non più di diritto, solo più come edificio con il suo contenuto (studenti e professori compresi). Il Comune ne rivendica la disponibilità: dall’epoca in cui è stato costruito molto è cambiato in questo senso. Le scuole superiori non sono più di pertinenza del Comune, che nei secoli addietro (e ancora solo una settantina di anni prima) ne aveva tratto motivo di vanto, ma della Provincia, che non mostra interesse per il problema (né si vede, data la distanza, come potrebbe conoscerlo o comprenderlo). L’amministrazione comunale dal canto suo è immemore dei passati intendimenti. Motivata da criteri pragmatici di gestione urbanistica, persegue inflessibilmente la politica della concentrazione di tutte le scuole superiori in un unico grande polo scolastico sito in periferia, presso il complesso, già esistente dagli anni Settanta, del “Monti”, e manifesta in un primo tempo scarsa considerazione per il patrimonio storico del “Balbo”. Mentre incombe la minaccia del trasferimento, si comincia ad analizzare la composizione del patrimonio, che consiste dei gabinetti di scienze e di fisica, della biblioteca storica e dell’archivio storico. Grazie alla passione di tre insegnanti6 e di alcuni studenti nel 2004 si avvia un lavoro di ricerca sulle apparecchiature del gabinetto di fisica. Si studiano gli inventari per risalire all’epoca di acquisizione degli strumenti scientifici e se ne ricostruisce il funzionamento e l’applicazione, per giungere a una schedatura. Gli apparecchi vengono raggruppati in sezioni corrispondenti alla loro funzione : sezione “acustica”, sezione “meccanica”, sezione “elettromagnetismo”, sezione “termologia”, sezione ”fluidi”, sezione “ottica”. Alcuni tra i più antichi, la cui presenza nella scuola è documentata da un inventario datato 1876 e conservato nell’archivio storico del Comune, risultano particolarmente degni di nota per la fattura e il pregio dei materiali7. Il risultato dell’impegno, che vede coinvolti gli studenti del triennio del liceo che si avvicendano in quegli anni, viene proposto al pubblico in una serie di mostre e spettacoli8, questi ultimi realizzati grazie alla presenza di un laboratorio teatrale9. Si spera in tal modo di giungere a sensibilizzare le autorità intorno all’obiettivo della conservazione. Più o meno contemporaneamente si realizza un primo parziale inventario10 di quella che comincia ad essere definita “biblioteca storica”, che porta a stilare un elenco iniziale di circa 117 libri preziosi, databili tra il 1500 e il 1700. Fra le oltre quaranta “cinquecentine”, provenienti presumibilmente dalla biblioteca del monastero di S. Chiara, alcune sono riconducibili alla tipografia degli eredi di Aldo Manuzio11. Il trasferimento nella sede del “Monti” avviene, accompagnato da forti polemiche, nel 2007. Il Comune concede alla scuola di poter continuare a fare uso degli arredi, di cui è proprietario, dopo averne curato il restauro e la messa in sicurezza. La Dirigenza del “Monti” a sua volta assegna presso la nuova sede degli spazi in cui ricreare, per quanto possibile, i laboratori e la biblioteca, oltre a quelli in cui ospitare, come d’obbligo, l’archivio. La cura di traslocare il patrimonio storico viene assunta direttamente da insegnanti e allievi12. Inizia così la fase di definitiva “musealizzazione” dell’ex “Balbo”, poiché per la didattica ordinaria esistono ormai i laboratori “moderni” del “Monti”. Nel corso dei due anni successivi al trasloco vengono ricollocati negli originali armadi in legno con vetrate, secondo un ordine scientifico, tutti gli strumenti, gli antichi cataloghi, gli animali sotto formalina, tassidermizzati, impagliati (invertebrati, insetti, scheletrati, anfibi, rettili, uccelli, mammiferi), i modelli in gesso riproducenti dissezioni di invertebrati, di parti botaniche, di organi e apparati del corpo umano, le varie ossa umane e lo scheletro umano originale completo, i modelli di cristalli, le collezioni di minerali e rocce, la serie di microscopi, ricostruendo gli ambienti dei laboratori. Vengono sistemate ai muri lavagne, cartine didattiche, mensole. La parte di più recente acquisizione del patrimonio della biblioteca va a rimpolpare in modo consistente la biblioteca del “Monti”, mentre quello che rimane va a costituire la “biblioteca storica”, cui viene per il momento precluso l’accesso, mentre si resta in attesa di poter completare la catalogazione13. Si giunge così al 2011 e alle celebrazioni per il centocinquantenario dell’Unità d’Italia, quando, grazie a un progetto regionale per la valorizzazione del patrimonio storico e documentale delle istituzioni scolastiche del Piemonte, si avviano ulteriori attività, attualmente ancora in corso. Si tratta di un laboratorio di archivistica14 che ha permesso agli studenti di entrare in contatto con i registri scolastici dei decenni vicini all’ Unità d’Italia, e di un laboratorio di fotografia15 mediante il quale ci si ripromette negli anni futuri di rendere possibile, attraverso il sito della scuola, la visita virtuale degli ambienti dei laboratori di scienze e di fisica e l’accesso alla documentazione descrittiva dei loro contenuti. Mentre la riscoperta della memoria procede dunque attraverso l’opera materiale di ricomposizione di mute testimonianze, non resta che auspicare che essa diventi l’occasione per dar voce a riflessioni più generali. Chissà che alle generazioni a venire di un popolo che ha in gran parte smarrito il proprio senso storico non possa giovare, nell’assenza di grandi prospettive, proprio la forma più umile di memoria, quella “memoria antiquaria” che è propria di “colui che custodisce e venera – colui che guarda indietro con fedeltà e amore, verso il luogo onde proviene, dove è divenuto; con questa pietà egli paga per così dire il debito di riconoscenza per la sua esistenza. Coltivando con mano attenta ciò che dura fin dall’antichità, egli vuole preservare le condizioni nelle quali è nato per coloro che verranno dopo di lui – e così serve la vita”16. Si tratta del tipo di memoria che offre giustificazione all’esistere.

La Storia della scuola

La nostra Istituzione Scolastica è stata costituita grazie ad un apposito decreto degli organi competenti in materia. Di seguito alcuni momenti importanti, rappresentati tramite timeline, delle nostre attività più recenti.